sabato 19 maggio 2012

John Lennon ebbe un'esperienza di contatto alieno



Oggi vi riportiamo una storia davvero singolare, nota forse a pochi se non agli addetti del settore.
Sembra infatti che John Lennon, famosissimo membro dei Beatles, abbia avuto nella sua vita un'esperienza di contatto alieno a tutti gli effetti.

"Era verso la metà degli anni Settanta e stavamo mangiando in un ristorante di New York. C’era anche Yoko"... iniziava così un incredibile articolo del quotidiano britannico “The Telegraph” che nel ‘96 riportava i contenuti di una conversazione fra John Lennon ed un cronista suo amico, il cui nome è rimasto peraltro ignoto. Non era
ancora nato Sean, frutto dell’unione fra John Yoko, e il periodo che l’ex Beatle e la sua compagna, incinta di alcuni mesi, stavano vivendo, era stato burrascoso.
Si erano trasferiti a New York City nel 1971. La città aveva accolto a braccia aperte quei due strani signori, magri e non troppo ben visti dall’Immigration USA, né dall’FBI, dati i passati trascorsi di Lennon come “radicale”, artista arrabbiato e politicamente scomodo (un pesce fuor d’acqua nella vecchia Inghilterra, ormai pronta ai furori del movimento punk) e avevano acquistato un sontuoso appartamento al Dakota, sulla 72.ma Strada Ovest, a pochi metri dal Central Park. Manhattan era perfetta per lui. Lo seguivano, lo tenevano d’occhio, il suo fervore politico non piaceva agli Americani, ma a New York tutto era possibile. Fu in un bar, di tardo pomeriggio, che John raccontò all’amico Uri Geller di una sua esperienza che lo aveva profondamente
scioccato e che aveva preferito tenere per sé. Si erano sistemati in un tavolo appartato, lontano dai curiosi.

Una luce accecante

John aveva incontrato degli esseri che, secondo lui, non potevano esistere su questo pianeta. Erano diversi da noi, logico quindi che chiedesse lumi proprio a Geller, il più famoso sensitivo del mondo, il cui nome era balzato agli onori delle cronache in quegli anni. Come il belga Croiset, Geller non “piegava solo i cucchiaini”, lavorava
con polizie di Stato e servizi di intelligence di mezza Europa, per ritrovare persone scomparse, esattamente come accaduto recentemente qui in Italia, con il caso di Chiara Bariffi, la sfortunata ragazza il cui corpo è stato rinvenuto, grazie ai suggerimenti della sensitiva Maria Rosa Busi, all’interno della sua auto, nel lago di Como.
Lennon raccontò che quella notte, doveva essere il Febbraio-Marzo 1977, stava dormendo, con Yoko al suo fianco, nella camera da letto nel “flat” del Dakota. Improvvisamente, una luce. Lennon sentì di dover aprire gli occhi, qualcosa lo stava richiamando, ma non era una voce, era una luce, fortissima che proveniva dalla stanza attigua, filtrava attraverso la porta. Un “pattern” o “modello” nella fenomenologia delle abductions, questo della luce quale prima sensazione di una “presenza anomala” che potremmo definire fra i contrassegni di una possibile esperienza di contatto o di “rapimento”. Lennon pensò a degli intrusi, qualcuno che fosse riuscito ad entrare nell’appartamento, si alzò di scatto e si slanciò verso la porta della stanza, la spalancò e si trovò davanti quattro quattro esseri, molto piccoli, sembravano simili ad insetti, ma umanoidi. Avevano grandi occhi, inespressivi e lo stavano fissando.

Il silenzio

A chi sia capitata un’esperienza del genere, ciò che vide Lennon non giunge nuovo. Corpi grigiastri, che sembrano improvvisamente comporsi, agglomerarsi come pulviscolo luminoso, possono apparirti improvvisamente, senza preavviso e senza chiedere il tuo permesso, penetrano nel tuo spazio-tempo vitale, ne fanno parte, evidentemente, ma ancora più evidentemente, sono “sbagliati” non dovrebbero essere lì, è impossibile e fai fatica a convincerti che non stai sognando. Come si sa, nel caso di John Lennon, l’artista non aveva mai fatto mistero delle sue esperienze psichedeliche, nè all’epoca dei Beatles, né dopo. Ma quella sera no, non aveva assunto sostanze, né alcol. Era andato a dormire sobrio e si era svegliato lucidissimo e impaurito, di soprassalto. Qualcuno potrebbe obiettare su un possibile “ritorno” di Lsd nel suo cervello, ma Lennon disse a Geller che lo escludeva del tutto, quelle “persone” erano lì per davvero, e la loro presenza era reale. Sentendosi soggiogato da un’immanente forza psichica, cercò di reagire e di scacciarli fisicamente, ma non ci riuscì. Le loro capacità mentali lo avevano bloccato. Un altro dei “pattern” delle abduction: la sensazione di immobilizzazione e di impotenza che il soggetto prova nel momento del primo contatto. Non si sfugge. Molti ricorderanno Travis
Walton, il taglialegna di Snowflake, Arizona, che a metà degli anni ‘70 fu protagonista di un drammatico, ma a lieto fine, caso di rapimento, avvenuto sotto gli occhi di testimoni, i suoi compagni di lavoro. All’interno dell’astronave, Walton, al suo risveglio dalla “catalessi” in cui era stato indotto, si ritrovò circondato da un gruppo di “Grigi”, ai quali riuscì a sfuggire, scrollandosi dalla loro presa molto facilmente. Ma cosa era successo veramente, com’era arrivato dentro quell’astronave? Il ricordo riemerse solo in seguito alle sedute di ipnosi regressiva condotte dal dottor James Harder e con la supervisione dell’astronomo Allen Hynek. Lennon, a quanto si sa, non si sottopose mai ad ipnosi per ricostruire quegli eventi. La sua memoria però non rispondeva, era stata cancellata e solo confusamente ricordava sprazzi dell’esperienza, e poi se ne erano andati e lui si era
ritrovato sdraiato sul letto, accanto a Yoko, ma sopra le coperte. Yoko, in quel momento era sveglia e intuiva che qualcosa non andava. Lennon non seppe rispondere, ma in mano aveva un oggetto, metallico, ovoidale. Glielo avevano lasciato loro. Lo regalò a Geller, che lo custodisce ancora oggi.


(fonte: dnamagazine)


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