sabato 15 ottobre 2011
Il caso U.F.O. di Clifton Bore, Australia, 1974
Ogni anno, ogni settimana, ogni giorno, un certo numero di esseri umani scompaiono in varie parti del mondo.
Una parte di essi viene ritrovata o fa ritorno alle proprie case, dopo essersene allontanata più o meno volontariamente; ma una percentuale sparisce per sempre, e non se ne sa più nulla, come se quelle persone fossero passate in un altrove senza nome.
Naturalmente, è possibile che si tratti, almeno in parte, di omicidi con occultamento di cadavere: il caso dei «desaparecidos» argentini, che a migliaia vennero gettati in mare o sepolti in grande fosse comuni, negli anni Settanta del XX secolo, è eloquente al riguardo. In parte, può trattarsi di persone che hanno voluto deliberatamente far perdere le proprie tracce, per le ragioni più varie, da quelle di tipo giudiziarie a quelle sentimentali.
È impossibile dire se queste eventualità esauriscano tutta la casistica relativa alle persone scomparse.
Certo è che, in alcuni rarissimi casi, siamo documentati circa delle modalità di scomparsa assolutamente misteriose, come nel caso di quel coltivatore americano, sposato e padre di famiglia, che scomparve letteralmente nel nulla, sotto gli occhi della moglie, dei due figli e di un amico, mentre attraversava un campo davanti a casa sua, il 23 settembre 1880.
Il fatto accadde vicino a Gallatin, nel Tennesse, ed ebbe per protagonista un certo David Lang, del quale non si seppe mai più nulla, nonostante tutte le ricerche e gli scavi intrapresi là dove l'uomo si era letteralmente volatilizzato. Ed esiste traccia di alcuni altri fatti analoghi, avvenuti anch'essi in presenza di testimoni.
Si disse che alcuni giorni dopo la figlia di Lang avrebbe udito la voce di suo padre che invocava aiuto, debolissima, provenire da un punto in corrispondenza di dove egli era scomparso; e che, nel giro di pochi minuti, essa si indebolì ulteriormente, fino a scomparire del tutto. Se quest'ultima informazione corrispondesse alla verità, allora bisognerebbe ipotizzare che l'uomo non era stato portato via da qualche forza misteriosa, ma che era accidentalmente scivolato tra le maglie del confine che separa la nostra dimensione spazio-temporale da un'altra; in altre parole, che egli si sarebbe venuto a trovare, per una temporanea distorsione del «continuum spazio-tempo», in un universo parallelo.
Il caso di Gallatin fu oggetto di dubbi e perplessità fin dall'inizio. Si disse, da parte di alcuni, che esso non era che una versione aggiornata, ma fantasiosa, di un fatto identico, verificatosi a Selma, nell'Alabama, nel 1854, e di cui sarebbe stato protagonista un agricoltore di nome Orion Williamson. Ma, se anche ciò fosse vero, il problema non farebbe che spostarsi di poco, nello spazio e nel tempo, ma non cambierebbe sostanzialmente: che fine aveva fatto, a sua volta, Orion Williamson? Se lo chiese anche il giornalista e scrittore Ambrose Bierce, che ne trasse ispirazione per scrivere un breve, allucinante racconto, realistico e stringato: «La difficoltà di attraversare un campo».
Le scomparse non riguardano soltanto singoli esseri umani, ma anche navi ed aerei; e l'elenco sarebbe lunghissimo.
La goletta olandese «Hermania» fu trovata allargo della Cornovaglia, nel 1849, priva di equipaggio, con gli alberi divelti, ma con la scialuppa di salvataggio al suo posto. La nave «James B. Chester», invece, fu trovata in pieno Atlantico, nel 1855, in perfette condizioni, ma anch'essa priva di equipaggio, e con tutte le scialuppe di salvataggio intatte. Il battello fluviale «Iron Mountain», nel 1872, in servizio lungo il Mississippi, scomparve con i suoi 52 passeggeri e non se ne seppe mai più nulla.
È noto, poi, che, a partire dalla seconda guerra mondiale, un numero notevole di aerei, sia militari che civili, oltre a un gran numero di navi, scomparvero sui mari del globo e particolarmente nel cosiddetto «Triangolo delle Bermude» (ma i «triangoli maledetti» sono, in realtà, parecchi; uno dei quali, non meno temibile, si trova nell'Oceano Pacifico, ad Est del Giappone, e viene significativamente chiamato, dai marinai nipponici, il «Mare del Diavolo»).
Gli scettici hanno sempre messo in dubbio il significato misterioso di tali sparizioni, però non sono stati in grado di spiegare né la maniera subitanea in cui velivoli e navi - sovente in perfetta condizioni di efficienza - sono scomparsi, senza avere il tempo di lanciare segnali radio che permettessero di capire cosa fosse accaduto; né l'assoluta mancanza di relitti, di salvagenti, di chiazze di combustibile o di cadaveri galleggianti, come quasi sempre avviene in simili casi, magari a distanza di giorni o settimane.
Una testimonianza che potrebbe gettare un fascio di luce su un numero limitato di scomparse di esseri umani, è quella relativa ad un evento verificatosi in una regione selvaggia e disabitata dell'Australia meridionale, nel 1974, presso una località denominata Clifton Bore.
Il fatto avrebbe avuto per protagonista un naturalista di Adelaide (capitale dell'Australia meridionale, situata presso il Golfo di San Vincenzo), esperto ornitologo e, per passatempo, ricercatore e studiosi di fossili. Appunto per cercare fossili egli si era inoltrato nella località desertica di Clitfon Bore, ove fu invitato a salire a bordo di un'astronave da due piccoli extraterrestri vestiti di tute aderenti di colore argenteo.
L'interno della nave spaziale rivelò una notevole sorpresa, perché era immenso, mentre l'apparecchio, dall'esterno, non sembrava molto grande; segno che, in quel luogo, le creature aliene erano state in grado di realizzare una sorta di deformazione spaziale, inspiegabile in base ai principi della nostra fisica e alle nostre possibilità tecnologiche.
Quello che rende particolarmente originale e interessante questo racconto di «incontro ravvicinato del quarto tipo», oltre che impressionante, rispetto a un elenco sterminato di episodi analoghi e banalmente ripetitivi, è la circostanza che l'uomo, nell'interno del velivolo spaziale, raccontò di aver scorto due ragazzine tenute entro una specie di gabbia, e che si trovavano come in trance, tanto è vero che non videro il testimone o, almeno, non fecero nulla che facesse pensare che si erano accorte della sua presenza.
Gli alieni, dal canto loro - ve n'erano parecchi all'interno del velivolo, tutti impegnati a svolgere il proprio lavoro in maniera abitudinaria - non prestavano alcuna attenzione alle due bambine; e, quanto al protagonista dell'episodio, dopo che essi lo ebbero invitato a bere una misteriosa pozione, lo rifiutarono, come se non fosse risultato utile per le loro ricerche, e gli permisero di allontanarsi e di fare ritorno alla propria automobile. È poco credibile, infatti, che egli abbia potuto allontanarsi senza che essi si accorgessero dei suoi movimenti e senza che fossero in grado di intervenire per fermarlo, se lo avessero voluto.
Delle due ragazzine egli non seppe mai più nulla, ma il loro ricordo continuò a turbarlo a lungo, tanto più che aveva avuto la netta sensazione che esse fossero state prelevate per essere trasportate dagli extraterrestri nel loro luogo di provenienza, qualunque esso fosse.
L'episodio è stato così ricostruito dall'inglese Timothy God, considerato uno dei massimi esperti mondiali in materia di U.F.O:, nel suo libro-inchiesta «Base terra» (titolo originale: «Alien Base», 1998; traduzione italiana di Lucia Corradini, Milano, Casa Editrice Corbaccio, 1998, pp. 471-74):
«Il desolato, remoto Sturt Desert che si estende trai confini dell'Australia meridionale, del Nuovo Galles del Sud e del Queensland, fu lo scenario, a quanto si dice, di un bizzarro, inquietante incontro avvenuto nel 1974. Il testimone, "Ben", un ornitologo di Adelaide autore di numerosi libri su questo argomento, era in compagnia di un'amica, alla ricerca di fossili che abbondano in quel deserto australiano. La loro ubicazione esatta è Clifton Bore, nell'Australia del sud, 400 chilometri circa a nord-nord-ovest di Broken Hill, nel Nuovo Galles del Sud.
Verso le 13,30 Ben si trovava a un chilometro e mezzo dalla sua station wagon. Aveva chiesto alla sua amica, che non era abituata a camminare su quel terreno, di tener d'occhio la macchina costantemente. A un certo punto Ben ebbe l'impressione che qualcuno lo osservasse. Improvvisamente due piccole creature, alte più o meno un metro, gli si avvicinarono. Kevin McNeil, autore di un articolo su quel caso, scrisse:
"Quegli esseri erano umanoidi, ossia per molti aspetti simili agli esseri umani. Sembravano maschi, avevano i capelli corti pettinati in modo normale. […] indossavano abiti a pelle, argentei, simili a una tuta subacquea, apparentemente senza alcuna cucitura. Anche le loro facce non avevano niente di strano: apparivano leggermente abbronzati. La parte posteriore della testa, invece, era allungata. […] Le braccia erano decisamente più corte di quelle degli esseri umani."
Quelle creature si esprimevano in una lingua incomprensibile, fatta di suoni brevi e secchi. Per quanto allarmato, Ben non ebbe la sensazione di essere in pericolo., e quando gli fecero cenno di seguirli non esitò neppure un momento. A una quindicina di metri da lì c'era un oggetto color argento, di un genere che non aveva mai visto in precedenza. Era a forma di hot dog e apparentemente non aveva né giunture né porte né finestre né sporgenze. Secondo Ben, era lungo poco meno di 8 metri e alto un metro circa. Al centro del velivolo si apriva il vano di una porta, e quelle creature lo spinsero a entrare. Ben si chinò per passare, e, una volta dentro, si sentì assolutamente sconcertato. Con grande stupore, scoprì che l'interno era spazioso. "Ci si sarebbe potuta far entrare una corazzata a grandezza naturale", riferì al ricercatore. "Com'è possibile? È lungo quasi 8 metri e alto uno, lo so perché riuscivo a vedere al di sopra della cima, ma dentro era enorme… come se ogni idea di spazio non avesse più senso."
All'interno c'erano una ventina di umanoidi simili ai primi, e almeno quattro erano donne, con i capelli più lunghi. Sembravano avere tutti la stessa età, e sui loro volti non c'erano rughe: si aveva l'impressione che la loro crescita si fosse fermata a poco più di un metro e l'invecchiamento a venticinque anni.
Gli alieni offrirono a Ben una bevanda in un bicchiere color argento metallizzato. Ben avrebbe preferito non bere, ma era più intimorito dalle eventuali conseguenze di un suo rifiuto. Appena ebbe bevuto, svenne. Quando, in seguito, gli fu chiesto di descrivere il sapore di quella bevanda, non riuscì a paragonarlo a niente che conoscesse.
Una volta recuperati i sensi, si scoprì disteso sul pavimento del velivolo. I due alieni erano ancora vicino a lui, ma in qualche modo capì che era stato "rifiutato". Rifletté che ciò forse era dovuto alla sua età (aveva 38 anni a quell'epoca) oppure a una malattia che manifestò in seguito. (Se questo fu il vero motivo, è interessante notare l'analogia con il rapimento di Alfred Burtoo ad Aldershot, in Inghilterra, nel 1983. Come ho raccontato in "Beyond Top Secret", Burtoo fu rifiutato da alieni di bassa statura che, dopo averlo esaminato, dissero che "era troppo vecchio e malato" per poter servire ai loro scopi. Burtoo, a quell'epoca, aveva quarant'anni più di Ben.
Gli alieni continuavano a parlare tra loro, ma Ben sentì, telepaticamente, che "sapeva" cosa stava accadendo. "Non avvertiva alcuna ostilità nei propri confronti - riferì McNeil, - e a differenza dei suoi due 'guardiani', gli altri membri dell'equipaggio non gli prestarono attenzione."
I membri dell'equipaggio gli giravano attorno, accendendo e spegnendo luci. C'erano sette-otto schermi televisivi, che mostravano immagini sia all'interno che all'esterno, e su uno in particolare si scorgeva qualcosa di simile a dei motori, anche se Ben non riusciva a vederli materialmente. Sulla parete c'era anche un grande schermo simile a uno specchio, con immagini di puntini e girandole (forse galassie a forma di spirali?) e alcuni strani simboli che non riusciva a decifrare.
Insieme ai suoi 'guardiani', Ben camminò all'interno. In superficie, il pavimento era di un materiale metallico luccicante che non era né ruvido né scivoloso. L'atmosfera all'interno era normale: né lui né gli alieni avevano bisogno di apparecchiature per respirare. ben non sapeva come e non era in grado di capirlo, ma sentiva che gli alieni stessi erano in rado di spostarsi da un posto all'altro con la sola forza del pensiero.
Ben rimase profondamente scioccato da ciò che vide poi: due bambine umane; una dimostrava dodici-tredici anni, l'altra otto-nove. Entrambe erano in una struttura che sembrava una gabbia.
"A questo punto della registrazione Ben, padre di cinque bambini, sembrava piuttosto sconvolto [e] incapace di descrivere la 'gabbia' in maniera corretta. […] Dichiarò che era 'pulita' e le due ragazzine sembravano in uno stato di trance. A quanto pareva, non capivano che cosa succedeva intorno a loro. Avevano molto spazio in quella 'gabbia', ma non si muovevano: stavano lì in piedi. Ben non sapeva se riuscissero a vederlo; in ogni caso, non diedero segni di averlo notato. Erano europee (ossia bianche) e vestite normalmente. Gli alieni continuavano a gironzolare, svolgendo i propri lavori abituali a bordo del velivolo, senza degnare le ragazzine della minima attenzione."
Ben sentì che gli alieni progettavano di condurre le ragazzine nel proprio luogo di provenienza, così come sentì che, quanto a lui, era stato rifiutato perché non poteva essere loro utile in alcun modo.
Ben si rese conto di una specie di ronzio, simile a quello di un motore, ma non riusciva a vedere da dove giungesse. Dato che si trovava proprio davanti alla porta aperta, approfittò dell'occasione.. Scese dal velivolo e si trovò di nuovo nel deserto. Si allontanò senza fermarsi.
Quando raggiunse la sua amica e la macchina, Ben apprese che era passata un'ora e mezzo da quando era partito alla ricerca dei fossili. "Scrisse le sue sensazioni nell'ora successiva al ritorno" - commentò McNeil. - Durante l'intervista si riferiva costantemente a quegli appunti. Era particolarmente turbato dal ricordo delle bambine.
"Accadde realmente? Lo ritengo possibile, sia per quella sensazione di turbamento del testimone sia per i particolari che fornì - fece notare McNeill. - Sfortunatamente c'è da aspettarsi che scettici e diffamatori 'di professione' si precipitino a rovesciare disprezzo e battute sul presunto testimone per mettere fine all'attività di contatto."
"GLI UFO continuano a ignorare le dichiarazioni scientifiche concernenti la loro non-esistenza e ritornano costantemente, dai loro luoghi di provenienza, sulla Terra che noi conosciamo e crediamo di capire. […] Una ricerca obiettiva e scientifica potrebbe approfondire la conoscenza che l'uomo ha di se stesso, del proprio mondo e dell'universo in cui vive."»
Dicevamo che questo episodio, se fosse vero - e non esistono prove irrefutabili che lo sia - sarebbe uno dei più interessanti di tutta la sterminata casistica degli «incontri ravvicinati» con entità aliene, perché è uno dei pochissimi che testimonia il rapimento deliberato di esseri umani, non a scopo di studio e per un tempo limitato (ore o, al massimo, giorni), ma, verosimilmente, a scopo di trasporto nel luogo di provenienza degli alieni e, pertanto, definitivo.
In genere, i «contattisti» più noti - George Adamski, Eugenio Siragusa, Eduard Billy Meier - hanno diffuso lo stereotipo degli alieni «buoni» e bene intenzionati nei confronti degli umani; o, comunque, decisi a non interferire con lo sviluppo della civiltà terrestre, se non - al massimo - per metterci in guardia contro il pericolo di autodistruzione rappresentato, ad esempio, dall'ampliamento irresponsabile degli arsenali atomici.
D'altra parte, i ricordi delle persone che sospettano di essere state rapite da entità extraterrestri, e che si sottopongono ad un trattamento di ipnosi regressiva - come, in Italia, i pazienti che si sono rivolti al professor Corrado Malanga -, spesso non collimano con questo quadro idilliaco, ma tradiscono una intensa sofferenza emozionale legata all'esperienza dell'incontro ravvicinato o del rapimento temporaneo.
Forse bisognerebbe riprendere in esame l'ipotesi dello studioso americano Charles Fort, secondo cui la terra potrebbe essere «proprietà» di qualche civiltà aliena, del cui dominio non siamo consapevoli, solo perché la tecnologia da essa impiegata è talmente superiore alla nostra, che noi non possediamo gli strumenti concettuali per rendercene conto.
Fort si serviva di una analogia piuttosto sinistra: diceva che gli alieni, di tanto in tanto, «pescano» qualche essere umano, così come noi catturiamo le farfalle con la reticella da entomologo. E aggiungeva che essi non hanno interesse a manifestarci la realtà della nostra condizione perché noi, per loro, non siamo altro che animali da allevamento, esattamente come, per noi, lo sono le mucche o le pecore.
E così come noi non ci reputiamo - in genere - crudeli, per il fatto di allevare mucche e pecore allo scopo di servircene, allo stesso modo sarebbe improprio definire «crudele» o «malvagio» il loro comportamento nei nostri confronti.
Forse che la maggior parte degli umani si sente in colpa, allorché siede a tavola per consumare una saporita bistecca di manzo?
Forse che gli scienziati, impegnati in qualche programma di ricerca sulle cavie animali, si sentono a disagio, allorché eseguono esperimenti su animali vivi?
Certo, lo scenario suggerito da Charles Fort per dare una possibile risposta alla scomparsa inspiegabile di tanti esseri umani, è decisamente sgradevole; anche perché urta contro il pregiudizio, duro a morire, del nostro ottimistico antropocentrismo.
Ma abbiamo il diritto di scartarlo a priori, solo per questa ragione?
Non avremmo, al contrario, il dovere di considerarlo come una ipotesi di lavoro niente affatto trascurabile, almeno per spiegare una parte dei casi più misteriosi di sparizione di uomini, navi ed aerei?
(fonte: http://www.ariannaeditrice.it)
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