sabato 28 maggio 2011

La realtà è dentro o fuori di noi?



Quando si parla di alieni si ricorre spesso alla domanda su come facciano ad arrivare nel nostro pianeta coprendo enormi distanze superando la velocità della luce, ma se lo spazio e il tempo fossero semplici illusioni?....

Non ci sono dubbi che i sentimenti d’amore e d’odio, ma anche il senso di fame, sonno, sete o altro, sono sensazioni che percepiamo dentro di noi.
Mentre il suono della musica, la percezione dei colori o dei profumi… sono dati che noi pensiamo ci derivino dal di fuori, ovvero dalla realtà materiale che ci circonda.
Ogni nostra percezione, che sia una di quelle che noi cataloghiamo come interna, oppure una di quelle esterne, avviene però all’interno della nostra mente, è un processo neurofisiologico che avviene da qualche parte all’interno del nostro cervello.
Facciamo un esempio: se ci pestiamo un dito mentre martelliamo un chiodo nella parete, noi sviluppiamo la percezione del dolore nel dito, quando invece è nel nostro cervello. Per una qualche ragione ancora sconosciuta il cervello ci inganna, dandoci la percezione di una realtà che sta fuori di noi, quando invece l’immagine che noi abbiamo della realtà viene creata all’interno della nostra mente!
Quindi la realtà, anche quella che noi crediamo di essere là fuori e avere determinate forme e caratteristiche, in un mondo che noi chiamiamo materia, in effetti è semplicemente un immagine del nostro cervello. La realtà, quella che noi localizziamo là fuori e con determinate caratteristiche, è veramente solo e unicamente dentro di noi. Questa constatazione è stata formulata in maniera molto chiara dal ricercatore tedesco Karl Pribram, un neurofisico naturalizzato negli Usa dopo essere fuggito dalla Germania. Fu lui a scoprire che il nostro cervello funziona in modo olografico, ovvero le funzioni del cervello avvengono in ogni parte di esso e non in singole parti specifiche (i risultati di queste sue ricerche furono pubblicate attorno al 1966).
In poche parole Pribram sostiene e dimostra con la sua tesi che le nostre percezioni, i nostri pensieri consci o inconsci, la nostra memoria, non possiedono una locazione specifica nel cervello.
Infatti, è stato appurato che persone a cui erano state eliminate parte del cervello, parti che fino ad allora erano credute la sede di determinate funzioni, continuavano invece ad averle, nonostante la menomazione cerebrale. In effetti, chi poi convalidò in pieno queste affermazioni, fu un biologo: Paul Pietsch che iniziò a sperimentare quanto affermato da Pribram, proprio per arrivare a invalidare la sua tesi, in una serie di oltre 700 operazioni, che oggi riceverebbero giustamente gli strali di tutto il mondo animalista, affettò, girò, mischiò, sminuzzò, sottrasse parti di cervello alle sue cavie, per poi ripristinare il restante e dimostrare ciò che invece diede ragione a Pribram, ovvero che il comportamento di questi animali non cambiava. Infatti, la memoria delle loro esperienze, accumulate quando il cervello era ancora integro e che li portava a comportarsi in un determinato modo, persisteva nonostante il fatto che si ritrovassero minime parti di cervello, o anche quando i lobi venivano scambiati!
La constatazione successiva di Pribram fu quella che lo portò a realizzare, grazie anche a ricerche di altri studiosi che ora, per amore di semplicità eviteremo di menzionare (chi però volesse approfondire, può farlo leggendo Tutto è uno di Michael Talbot, Urra Edizioni), che il cervello funzionava elaborando delle frequenze. Ovvero la realtà “là fuori” veniva percepita, quindi arriva al cervello in qualità di frequenza, prima che di forma. Solo in seguito è trasformata, dal cervello, nel modo in cui può essere percepita dai nostri sensi. Questo significa che là fuori, non c’è un mondo come c’e lo immaginiamo noi. Ovvero, è un po’ come se, scattando una foto “quantica” a un gruppo di persone attorno a un tavolo, la foto poi mostrasse nuvole indefinite di schemi di frequenze!
E’ ovvio a questo punto che Pribram cominciasse a chiedersi se, dopo tutto, i mistici che da sempre sostenevano come la realtà fosse un'illusione, non avessero quindi ragione!

Il pensiero crea

Come abbiamo visto, la realtà non esiste fuori di noi, bensì dentro di noi: è semplicemente il risultato della nostra elaborazione cerebrale, in base a ciò che siamo in grado di percepire.
Ovvero, se ci riferiamo nuovamente all’esempio della biglia/quanta lanciata sulla sabbia, la cosiddetta “realtà” dipende unicamente dal momento in cui noi osserviamo, cioè quando ci focalizziamo su qualcosa. Questo diventa così “visibile”, diventa cioè una nostra realtà interna, una nostra convinzione, che poi la mente ci propone ai sensi come se fosse una coreografia esterna.
In definitiva, queste ultime scoperte della fisica quantistica sembrano in qualche modo avvalorare quanto affermato dalle dottrine esoteriche, quando suggeriscono di imparare a scegliere bene i nostri pensieri, perché questi poi realizzano nella materia il contenuto delle immagini mentali (“Il pensiero crea!”).
Vi riporto una storiella quantistica che indica perfettamente quanto appena affermato.
Immaginiamoci di giocare una partita a carte.
Seguendo l’iter del gioco, noi sappiamo che il nostro avversario può avere in mano – per esempio – l’asso di denari o il re di cuori, tuttavia non siamo in grado di affermare con certezza quale delle due sia realmente. All’atto della “misura”, ovvero, nel momento in cui il nostro avversario butta sul tavolo la carta, noi possiamo finalmente constatare di quale carta si tratti. Secondo la nostra normale concezione della realtà, quella carta, che ora sappiamo essere, per esempio, l’asso di denari, era quella già prima della misura. Ma secondo la fisica quantistica invece non è per niente così! Infatti, la carta, in precedenza era in uno stato indefinito, con il 50% di probabilità per l’asso di denari e il 50% per il re di cuori, e solo all’atto della misura la carta è diventata l’asso di denari.
Ritornando, poi, allo stato precedente e rieffettuando la misura, stavolta la carta potrebbe diventare un re di cuori! Ovvero, non esiste una realtàoggettiva” prima che avvenga la misurazione, cioè prima che avvenga la presa di coscienza, da parte nostra, del risultato.
E qui la fisica quantistica si spinge addirittura oltre. Infatti afferma che il risultato è sempre determinato dalle aspettative, spessissimo inconsce, del soggetto che “osserva” l’avvenire della cosiddetta realtà.
Secondo il danese Bohr, i Quanta fanno parte di un sistema indivisibile in costante fluttuazione e dalle infinite possibilità di fissazione nella cosiddetta materia.
Bohm identifica con maggiore precisione le qualità di costante fluttuazione dei Quanta, definendoli dalle proprietà “non locali“, ovvero non fisse.
Spieghiamoci meglio.
Paragoniamo questa specie di mare invisibile con infinite fluttuazione di onde a un acquario al cui interno nuota un pesce. All’esterno di questo acquario sono posizionate diverse telecamere che filmano quanto avviene all’interno. Se noi non sapessimo che le telecamere riprendono la stessa situazione, vedendo le immagini, spesso così diverse fra loro, perché prese dalle diverse prospettive in cui esse si trovano, noi potremmo anche arrivare a credere di osservare le foto di diverse realtà! Infatti, ora il pesce è fotografato di fronte e sullo sfondo osserviamo un determinato paesaggio; con un’altra telecamera è invece fotografato di lato, e lo sfondo, ovviamente, cambia, visto che la prospettiva da cui si guarda è diversa!
Lo stesso accade a noi con la percezione della nostra cosiddetta realtà: dipende sempre e solo dalla prospettiva in cui ci troviamo, ovvero dalla minore o maggiore apertura della nostra coscienza, con i suoi convincimenti – consci e inconsci – che ci permette di fissarci ora sull’una, ora sull’altra realtà.
Ecco perché si afferma che tutto dipende dalle nostre aspettative

Il salto quantico

Una particolarità “incredibile” dei Quanta è anche quella di effettuare una specie di salto da un orbitale all’altro, senza effettuare il passaggio in modo graduale.
Spieghiamoci meglio.
Gli elettroni gravitano intorno al nucleo atomico in orbite concentriche – ovvero, aventi lo stesso centro. Quando si caricano di energia, questi possono letteralmente saltare da un’orbita a un’altra più distante, senza effettuare un passaggio graduale. In poche parole “scompaiono” dall’orbita in cui gravitavano, per ricomparire in un’altra. Questi “salti” corrispondono sempre a un loro stato di maggiore energia, che li porta a caricarsi e permette loro di emergere quindi in una nuova orbita. Da quanto appurato fino ad ora, sappiamo che un essere umano, ovvero la sua carica/emanazione energetica, è in grado di influire sulla funzione d’onda e farla precipitare in particella, visto che gli scienziati sono poi in grado di osservare, cioè misurare le particelle.
Il fatto che un Quanta possa cambiare la propria orbita, dopo essersi debitamente caricato di energia, senza che gli tocchi percorrere dei percorsi intermedi che lo portino alla nuova destinazione, ci fa presupporre che anche noi siamo in grado di passare da un modo di vivere a un altro, senza che per questo dobbiamo percorrere i passi intermedi – se non quelli, ovviamente, che ci permetteranno di caricarci energeticamente e diventare così una “massa” energetica più potente e capace di interferire con il normale flusso del “destino“, imponendo una nostra nuova convinzione.
In seguito a quanto illustrato fino ad ora, dove abbiamo visto come la nuova fisica abbia confermato quanto da sempre affermato dai pensieri delle antiche dottrine, ovvero che il pensiero, cioè le nostre convinzioni e aspettative (spesso inconsce) creano la realtà che noi ci troviamo a vivere, tale convalida ha dato avvio alla corrente del “pensiero positivo“, che invitava a vedere la metà piena del bicchiere, anzichè soffermarci su quella vuota. Sebbene saggio come consiglio, molti però lo hanno tradotto imponendosi questa filosofia. Sono quelli che hanno tentato di essere positivi a tutti i costi, coinvolgendosi in un tale sforzo interiore, che ha poi vanificato la validità del concetto.
Larry Dossey, un medico statunitense che approfondì la questione, si chiese perchè in alcuni casi il pensiero positivo funzionasse e perché in altri invece no. Il risultato delle sue ricerche ha evidenziato come il costringersi a pensare in un determinato modo crea una forte tensione interna. Dove c’è tensione la nostra energia non fluisce liberamente e, di conseguenza, al posto di ottenere dei risultati positivi, si arriva a tutto il contrario. Ovvero, si è constatato che le persone che si forzano a essere positive a tutti i costi, non solo diventano vittime di pensieri ossessivi, ma soprattutto si esauriscono energeticamente, richiamando così nella propria vita il riflesso di tale ristrettezza e indigenza interiore. (Si veda per approfondire Il potere curativo della preghiera, Larry Dossey, Red Edizioni).
Non è la testa che deve forzare verso una direzione, bensì tutto il nostro insieme deve essere serenamente convinto. Solo così l’energia circola liberamente e richiama, di conseguenza, quel determinato risultato nella nostra vita.

Einstein e l’ignoto

La fisica quantistica si considera essere solo all’inizio delle infinite scoperte che, a quanto pare, si aprono davanti a noi come possibilità. Allo stesso modo possiamo forse affermare che ci troviamo di fronte all’inizio di questo nostro percorso evolutivo, che ci permetterà di liberarci, con maggiore efficacia, da tutto ciò che continua a tenerci saldamente legato e obbligato a una via difficoltosa e irta di ostacoli.
Forse dobbiamo solo imparare ad aprire un po’ di più le nostre menti, perché in fondo, come diceva Albert Einstein: “La cosa più bella che possiamo sperimentare è l’ignoto“.




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